Emozioniamoci

Immaginate una vostra giornata tipo.

La sveglia suona, interrompendo un sogno avvincente. Subito s’insinua una nota di frustrazione per il mancato finale dell’avventura onirica. Vi alzate e, tra uno sbadiglio e l’altro, realizzate che più tardi presenterete il vostro progetto di fronte al capo. Ecco l’ansia che fa capolino. Con una smorfia ricordate che alla riunione sarà presente quel collega che proprio non vi va a genio. È forse una punta d’irritazione che si accende al suo pensiero?

La presentazione va alla grande, che soddisfazione! Per la pausa pranzo vi recate al baretto dietro l’angolo, ma una bici, sfrecciando a tutta velocità, rischia d’investirvi. Vi bloccate sul posto, congelati dalla paura. Lo spavento dura poco: una gran rabbia verso il ciclista spericolato prende il suo posto. Bofonchiando invettive irripetibili entrate nel bar; la vostra amica è già arrivata e vi aspetta, ha lo sguardo triste. Preoccupati, vi avvicinate a lei…

Siamo solo alla pausa pranzo e già abbiamo incontrato diverse emozioni, vostre o di altri. Potrei portarvi con me lungo tutta questa giornata, ma direi che il punto è chiaro: la vita, in ogni suo istante, è un viaggio attraverso decine di emozioni e sensazioni che si alternano, si fondono e s’inseguono.

Ma esattamente, cosa sono le emozioni?

Possiamo definire le emozioni come complessi stati psico-fisiologici che emergono in risposta a stimoli esterni o interni, coinvolgendo elementi cognitivi, fisiologici e comportamentali.

Esaminiamo il caso della paura. A livello cognitivo coinvolge pensieri e valutazioni legati ad una situazione percepita come minacciosa e comprende l’elaborazione mentale dei potenziali pericoli nonché delle loro conseguenze. Sul versante fisiologico, si manifesta con un aumento del battito cardiaco, preparando il corpo alla fuga o al combattimento. Dal punto di vista comportamentale, la paura si esprime attraverso espressioni facciali specifiche, come occhi spalancati e sopracciglia alzate, oltre a comportamenti di ritiro o attacco.

Tutto chiaro fin qui?

Sì e no. La definizione delle emozioni proposta è certamente un valido punto di partenza: chiara, sintetica, scientifica al punto giusto. Tuttavia, a mio avviso, risulta ancora distante dall’esprimere pienamente la ricchezza e la vivacità di questo fenomeno. Per avvicinarci meglio alla comprensione delle intricate sfaccettature degli stati emotivi, diventa quindi cruciale porsi un’ulteriore domanda.

A cosa servono le emozioni?

Le emozioni, basate su meccanismi innati, svolgono una funzione adattiva, veicolando informazioni vitali per l’individuo. In sostanza, fungono da guide per la sopravvivenza, predisponendo il corpo all’azione. La rabbia, ad esempio, spinge verso l’attacco; la paura induce a proteggerci, mentre il disgusto spinge ad evitare stimoli nocivi per la nostra salute. Le emozioni agiscono quindi come segnali, avvertendoci che sta accadendo qualcosa di rilevante per noi. Ricordate ancora la giornata tipo descritta all’inizio? Un momento decisivo è stato rendersi conto di dover presentare il progetto in pubblico. Qui, l’ansia che si fa sentire diventa un segnale, indicando che questo evento è fondamentale per il nostro successo professionale e personale. In breve, un momento importante per noi.

Allargando la prospettiva al contesto sociale, l’emozione assume un ruolo cruciale nell’interazione con gli altri. La comunicazione emotiva è infatti immediata e si diffonde rapidamente. Facciamo un salto nel mondo animale, dove concetti come “sopravvivenza” ed “adattamento” si rivelano chiaramente. Immaginate una gazzella che scorge un predatore all’orizzonte. Il suo corpo, in uno stato di allerta, assume una postura caratteristica: testa sollevata e collo allungato per ottenere una visuale migliore. Questa posizione è un segnale per gli altri membri del gruppo, indicando la presenza di qualcosa di sospetto o pericoloso. In un istante, la notizia della minaccia si propaga attraverso il gruppo di animali, innescando un contagio emotivo che si traduce in una fuga sincronizzata e frenetica. È una corsa di sopravvivenza che rivela quanto sia cruciale cogliere e rispondere agli stati emotivi dell’altro. Lasciamo la savana e torniamo a noi. Riflettete sull’ultima volta in cui avete sperimentato una gioia intensa o un momento di profondo sconforto. È stato davvero necessario spiegare nei dettagli, a chi vi stava accanto, cosa stavate provando? Probabilmente no. Molto spesso il nostro sguardo, la postura ed il tono della voce parlano per noi, trasformandosi in messaggi per chi ci sta intorno.

Arriviamo ora al punto cruciale.

Spesso tendiamo a dividere le emozioni in categorie binarie, distinguendo tra quelle “positive” – come la gioia, l’entusiasmo e la soddisfazione – e quelle “negative”, come la rabbia, la vergogna e la tristezza. Vi è mai capitato di pensare in questi termini? E forse, in qualche momento, avete anche pensato: “Queste emozioni sono negative, quanto vorrei liberarmene!”

Concordo sul fatto che alcune emozioni possano essere, talvolta, difficili da affrontare e non sempre piacevoli. Capisco anche che, in questi casi, il primo impulso possa essere quello di allontanarle. Ma prendiamoci un attimo prima di decidere se buttarle via. Riflettiamo sul discorso fatto finora. La dicotomia tra emozioni positive e negative si dissolve infatti quando le guardiamo da una prospettiva adattiva. Ciascuna emozione, persino quelle comunemente etichettate come “negative”, svolge un ruolo cruciale nella nostra sopravvivenza e nel nostro adattamento. Possiamo dunque affermare che tutte le emozioni contribuiscono positivamente al nostro benessere.

Invece di cercare di eliminarle, è importante imparare a comprendere e gestire questo variegato mosaico emotivo. Accogliere e interpretare le emozioni come segnali utili ci permette di sviluppare una consapevolezza più profonda di noi stessi e del nostro contesto emotivo.

 

Bibliografia

Lavorare con le emozioni nell’approccio costruttivista. Giorgio Franco Augusto Rezzonico, Ivan De Marco. Bollati Boringhieri, 2012

Foto di frank mckenna su Unsplash